Credo che tutti concordino nel dire che il sistema di accoglienza dei migranti sia inadeguato. Spesso troviamo uomini, donne e bambini assiepati in strutture nelle quali sono condannati a non fare nulla, a non poter impegnare il proprio tempo in qualcosa di costruttivo, che li aiuti a inserirsi nella società in modo onesto e dignitoso.

Il dibattito sull’immigrazione è diventato sempre di più un ottimo argomento elettorale che avvantaggia chi si mostra contrario all’accoglienza, addirittura nei Paesi in cui la questione nemmeno si pone, perché non sono direttamente coinvolti dal fenomeno. Oggi, in Europa, troviamo forze politiche che consolidano la propria immagine proprio attraverso l’intolleranza, l’odio, la battaglia contro gli immigrati.

La propaganda alimenta ostilità e timori. Servirsi delle fragilità umane, si sa, è una cosa che alla politica riesce molto bene. Per i suoi attori è facile scatenare il panico volutamente, con lo scopo di raccogliere consensi da tradurre in voti. Ma, a volte, questo folle gioco può avere effetti devastanti che sfociano in tutta quella rabbia e in quel risentimento che stanno travolgendo molti e che stanno scatenando un impressionante delirio collettivo.

C’è chi si rifiuta di parlare di razzismo e preferisce dire che è solo prudenza. In realtà è paura. Resta da chiedersi nei confronti di chi e di cosa la proviamo davvero e, soprattutto, se le emozioni e i pensieri che albergano in noi si sono generati spontaneamente o se sono stati indotti.

È vero che in alcune città si sono create delle situazioni di tensione e pericolo. Voler restare umani di fronte alla sofferenza, non significa non riconoscere che ci siano italiani che vivano nel disagio, nella tensione e nell’instabilità. Non significa ignorarli e non pretendere che lo Stato li tuteli. Ma li deve tutelare dai delinquenti, dagli assassini, dai violenti che non hanno colore, sesso e religione.

I facinorosi non conoscono etnia. Permettere che pochi distruggano il sogno di una vita migliore di tutte quelle persone perbene che attraversano il deserto, sopravvivono a torture e a estenuanti viaggi in mare ma sempre animati dalla fiamma, seppur flebile, della speranza, non è accettabile. È profondamente ingiusto.

Asserire che i migranti arrivino con l’intento di rubarci il lavoro, di invaderci, di travolgerci, è follia. Chi parte da quei luoghi di disperazione, il più delle volte non ha istruzione, non ha i mezzi economici e culturali per architettare un piano talmente strutturato e diabolico. Si tratta di persone sconvolte da feroci guerre intestine dalle quali fuggono, dopo aver visto le loro donne violentate, i loro cari massacrati e dopo aver subito, loro stessi, le peggiori crudeltà. Altri scappano da condizioni di degrado e povertà estrema, non hanno modo di pensare a come tentare una sostituzione etnica. Devono pensare alla propria sopravvivenza.

Forse si dovrebbero temere di più gli “invasori” ricchi, quelli che arrivano con i jet privati e, aprendo le proprie valigette piene di soldi, acquistano tutto. Ma quelli no, sono osannati e accolti con il massimo della riverenza. Comprano strutture, attività commerciali, compagnie aeree. Comprano la nostra dignità. E noi gliela svendiamo supini, con tutta l’acquiescenza possibile. Nei loro confronti, non una parola di risentimento.

Forti con i deboli e deboli con i forti. In Italia, in alcune circostanze, la miseria morale e quella umana pesano più di quella economica. E l’odio profuso in questi giorni, ne è la dimostrazione.

Nessuna condizione di malessere, nessuna, conferisce il diritto di denigrare e umiliare persone oneste e fragili, talmente disperate da cercare un riscatto e un aiuto addirittura tra le braccia dei loro stessi carnefici. Tra coloro che, per secoli, hanno depredato le loro terre, abusato delle loro mogli, li hanno condannati alla schiavitù e alla fame e che ancora oggi, nel 2018, sostengono un colonialismo che persiste e condanna a mortificazioni, ad afflizioni che lasciano solchi profondi nell’economia e nella società africana, logorando gli animi di un intero popolo.

Ricordiamo sempre una cosa: si tratta di una guerra tra poveri, strumentalizzata ad arte da chi sa che attraverso il conflitto perenne e il gioco delle contrapposizioni sociali, provoca contrasti e diffonde un malessere che allontana gli esseri umani, consentendo una concentrazione di potere nelle mani di pochi.

Apparteniamo tutti allo stesso genere umano. Lasciare spazio ai nazionalismi, alla loro chiusura e al loro infimo razzismo, in una società ormai globalizzata, nella quale ognuno di noi dipende dagli altri, è fuori dal tempo.

Gli unici veri nemici da combattere sono l’avidità, la brama di potere, l’ignoranza e l’indifferenza.

Elisa Dettori